- quindicesimo invio della newsletter Apofenia -
Ti ricordi quando qualche emali fa ti ho detto che settembre per me è il vero inizio dell’anno ed è il periodo in cui faccio piani e cerco di far accadere cose? Ecco, pare stia funzionando. Ancora non dico niente, ma ho nuove, interessanti prospettive. Cosa porteranno le stelle? Chissenefrega, perché come dice Terry Pratchett:
“If you trust in yourself. . .and believe in your dreams. . .and follow your star. . . you'll still get beaten by people who spent their time working hard and learning things and weren't so lazy.”
Buonasera da Roma.
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I film che aspettavo di vedere quest’anno, oltre a quello che esce a metà dicembre e a cui per ora non voglio neppure pensare, erano tre. Mad Max: Fury Road, filmone del decennio, Ex Machina, bello con rovinosa caduta sul finale, e Inside Out. Sono entrato al cinema pronto a consegnare cuore e lacrime a questo nuovo film Pixar e invece, boh. E’ chiaro che il livello “boh” per un film Pixar equivale a standing ovation e lancio di biancheria intima per praticamente qualsiasi altro produttore. Il livello “boh” Pixar è qualcosa che la Fox continua a sognare di notte e la Dreamworks ha visto di sguincio e da lontano con Dragon Trainer. Però è brutto uscire boh da un film da cui ti aspettavi tanto. Senza parlare della trama, la storia raccontata nei 94 minuti di questo film è la stessa raccontata negli ultimi 94 secondi di Toy Story 3: crescere è inevitabile, non sarai più bambino, i ricordi di quell’epoca felice saranno per sempre tinti da un velo di tristezza perché quei momenti sono passati e non torneranno più. Ma la tristezza non è il male: è quello che rende quei ricordi dolcemente nostalgici.
We look before and after, And pine for what is not; Our sincerest laughter With some pain is fraught; Our sweetest songs are those that tell of saddest thought.\ Percy Bysshe Shelley.
Forse perché i 94 secondi di Toy Story arrivavano dopo tanto film, mi hanno colpito di più, emozionato di più. In Inside Out è chiaro dal primo momento che è lì che si andrà a parare. Che si parlerà di crescita, di perdita e di nuove esperienze. Forse è questo che azzoppa un po’ il film. Forse lo azzoppa un altro po’ una violazione delle regole che si è data l’ambientazione. Le emozioni che controllano i comportamenti dei personaggi sono raffigurate come una caricatura del personaggio stesso: che si tratti di uomini o donne, adulti o bambini, cani o gatti (lì ho veramente riso tanto), i personaggi nella testa ricalcano l’aspetto del proprietario di quella testa. Ma per Riley non è così: le sue emozioni, le avete viste nei trailer e nei poster del film, non le assomigliano per niente. Sembrano adulti di varie età, ma tutti più grandi di lei. Ma sono adulti ingenui, che fanno errori e prendono decisioni sbagliate. Le stesse decisioni che prenderebbe una bambina di 11 anni che si trova improvvisamente strappata al suo mondo. Ed è giusto: perché sono le emozioni immature e acerbe di una bambina di 11 anni. Ma questo contrasto tra aspetto adulto e comportamento infantile è forte e indebolisce il film. E’ chiara la motivazione dietro i comportamenti delle emozioni, ma diventa chiara pensandoci. E la forza dei film Pixar è che hanno sempre parlato direttamente al cuore e alle emozioni, non alla testa. Il fatto che un film sulle emozioni non emozioni, ma funzioni razionalizzando ha qualcosa che non va.
Il film è bello, visivamente è mozzafiato. Ma la struttura si vede un po’ troppo, le scene in cui il regista Pete Docter, che aveva realizzato macchine perfette in Monsters & Co e Up, vuole che siamo tristi, ora allegri, ora piangiamo sono troppo telefonate. Anche il ritmo ha qualcosa che non va. In genere nei film Pixar attendo con ansia l’intervallo per poter comprare subito un biglietto per lo spettacolo successivo e rivederlo immediatamente. Qui attendevo la fine.
Mi rendo conto che sto distruggendo il film: non lo merita, vale la pena vederlo ed è veramente un buon film, ma per me non è al livello dei grandi capolavori della Pixar e forse la mia delusione viene più da questo che dal giudizio sul film in sé. Ma non puoi chiedermi di pensre a un film sulle emozioni senza tenere conto delle mie, no?
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Oggi sono stato all’inaugurazione del Mercatino Giapponese. Se ti interessa, il prossimo appuntamento è il 18 ottobre. Io non ci sarò, vado fuori per una lezione di scherma, ma tu se puoi vai.
Il mercatino è un piccolo appuntamento piacevole. Gli spazi stanno iniziando a diventare un po’ stretti per il numero di persone che richiama, ma è ancora possibile girare con calma tra gli stand e vedere tutto senza essere travolti da folle a livello Romics o Lucca. Avere un numero di banchetti fissato e limitato aiuta a mantenere i numeri sotto controllo, ma se la manifestazione continua a crescere in questa maniera, cosa che le auguro, presto i locali del Black Out non saranno sufficienti per permettere alle persone di avere un’esperienza gradevole. Il clima che si respira è comunque molto bello e ho notato una certo ricambio nei venditori: sto iniziando a riconoscere degli espositori abituali e ho visto che rispetto alle scorse edizioni c’erano volti e prodotti nuovi. Anche l’offerta di eventi di contorno alla parte commerciale sta diventando interessante.
Quanto alla merce esposta, te ne avevo già parlato e te lo confermo: molto più interessanti i prodotti artigianali che quelli commerciali. Non che tra i vari gadget, pupazzi, giocattoli eccetera non abbia adocchiato oggetti che hanno fatto vacillare per un momento il mio voto di minimalismo – c’era un Goldrake in metallo che chiamava il mio nome -, ma la creatività vista nei prodotti artigianali è decisamente interessante. Ci sono due tipi di prodotti artigianali: quelli evidentemente fatti a mano, uno per uno, propriamente artigianali, e quelli frutto di un buon design applicato poi a qualche sistema di produzione in serie. Belli entrambi, ma i secondi dimostrano che c’è un salto di qualità in atto.
C’è un dato su cui riflettere anche sui prodotti commerciali. Anche questi si possono dividere in due categorie: i prodotti nuovi o comunque recenti e quelli vecchi, fuori produzione, da collezionisti. Oggetti appartenenti a entrambe le categorie sono reperibili online: i primi ad esempio su Amazon, su cui ho trovato molto di quello che ho visto stamattina e cercato nel pomeriggio. Per i secondi c’è Ebay. Il mercatino ha comunque un valore anche da questo punto di vista. A parte quello economico – ho sentito più di una persona rallegrarsi per i buoni prezzi a cui era riuscito a comprare qualche cosa – c’è un valore di scoperta. Che è un valore importante tipico di mercati, fiere, vetrine e altre situazioni in cui gli oggetti sono lì, esposti, fisicamente presenti e visibili. La scoperta su Amazon ed Ebay fa ancora pena: se non ci fosse un’occasione che permette di scoprire i prodotti vedendoli esposti, hai voglia a venire a sapere che esistono tramite i “potrebbe interessarti anche” delle piattaforme di ecommerce!
Questo per me è un elemento molto interessante su cui riflettere e far riflettere i miei amici che si occupano di commercio online.
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Chiudo con una breve nota politica. Lo so, è strano, ma ho il televisore acceso ed è difficile ignorarlo.\ Mentre ho iniziato a scrivere sono stati annunciati i risultati delle elezioni in Grecia e ora i commentatori sono scatenati. Uno degli argomenti di riflessione è il fatto che Tsipras, uomo di sinistra a capo di un partito di sinistra, ha vinto dopo che la sinistra-sinistra del suo partito lo ha abbandonato, si è presentata per conto suo e avrebbe preso un patetico neanche 3%.\ Diceva Tony Blair che un partito di sinistra in Europa non vincerà mai con i soli voti degli elettori di sinistra, perché non ce ne sono abbastanza per avere la maggioranza. I partiti di sinistra vincono se pescano anche, e tanto, al centro. Questo è quello che ha fatto lui con il New Labour, questo sembra aver fatto Tsipras, questa è la politica di Renzi (e la minoranza PD dovrebbe guardare i risultati della sinistra-sinistra fuoriuscita da Syriza e farsi due conti e una domanda).
In Inghilterra Jeremy Corbyn è stato da poco eletto nuovo leader del Labour Party, l’attuale partito di opposizione. Scopro scrivendo questa lettera che il nome ufficiale del capo del partito di opposizione nel Regno Unito è “Leader of Her Majesty's Most Loyal Opposition in the United Kingdom”. Le monarchie sono fantastiche.\ Corbyn è uno dei rappresentati della sinistra-sinistra di questo partito di sinistra e vari voci della sinistra britannica, a partire proprio da Tony “la sinistra vince al centro” Blair e dal “notoriously left leaning” Guardian avevano condotto una campagna contro di lui. La preoccupazione che esprimevano, e continuano a esprimere anche ora che ha vinto – pure se il Guardian ha concesso che con il suo primo intervento da leader dell’opposizione è partito bene-, è che un leader radicale, di sinistra che fa, dice, pensa e vuole cose di sinistra indebolisce un partito di sinistra moderno e con aspirazioni di governo, perché aliena gli elettori di centro e li spinge verso i conservatori di Cameron, rafforzandoli.\ Queste preoccupazioni le esprimevano anche rappresentanti della sinistra europea.
Insomma, per i rappresentanti della sinistra europea, un partito di sinistra può governare solo se non fa politiche di sinistra. Oh, è strano, eh!
Ovviamente la prova del nove si avrà alle elezioni. Adesso mi sfugge
quando si terranno le prossime nel Regno Unito. Ma intanto due
esponenti di movimenti ispirati agli indignados spagnoli, due donne,
hanno conquistato la carica di sindaco a Madrid e Barcellona.
Quindi, primo dato: rappresentanti di un movimento di
sinistra-ma-proprio-tanto-
Vedremo come andrà. Intanto, Daje Jeremy, Ada e Manuela.
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Ora vado a letto, spero che tu stia dormendo o ti stia divertendo!