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Rieccomi dopo settimane di impegni, riposo, riflessione, viaggi.

Nella mia testa c'è un post completamente formato sui cognitive bias. Secondo me è molto importante e dovreste proprio leggerlo - quando l'avrò scritto. Non l'ho scritto perché sto scrivendo invece questo post, che si è presentato pure lui completamente formato nella mia testa questa mattina. Grazie alle muse e alle divinità della scrittura, che mi regalano i post già formati.

In un'intervista di un paio di mesi fa, William Gibson ha detto

I take it for granted that social change is driven primarily by emergent technologies, and probably always has been.

Non è un concetto nuovo, lo sta ripetendo da decenni. Infatti appare spesso nei testi raccolti in Distrust That Particular Flavor, una collezione di articoli, saggi e introduzioni che ha scritto nel corso degli anni.

Nei saggi la frase appare spesso introdotta da "if you believe, like I do..." o "I believe that..." Believe. Credo.

Perché questo mi ha colpito? Perché uno dei testi che mi hanno spinto a fare le scelte che ho fatto, intraprendere questo mestiere e arrivare dove sono ora è This I Believe, un manifesto in 60 punti in cui Tom Peters riassume il suo pensiero.

Di sfuggita vi consiglio caldamente di leggere raccolta, intervista e manifesto.

Ma il punto non è questo. Il punto è credere in qualcosa. Avere un'opinione talmente forte che diventa una stella polare del pensiero. Non un'opinione su Pinterest, sulla gestione della privacy di Facebook o sul modo migliore per usare Twitter in ambito corporate. Ma qualcosa in cui credere a livello più alto che influenzi a cascata tutto il resto della nostra vita. Professionale, aggiungo, visto che questo è un blog professionale. Ma se siete fortunati e fate il lavoro che fate per passione, non c'è confine tra vita personale e vita professionale.

Voi in cosa credete? La domanda non è oziosa: quello in cui credono Gibson e Peters dà loro da mangiare e li ha resi gli autori celebri che sono, ciascuno nel proprio campo. Li ha resi delle autorità, dei punti di riferimento nei loro campi non per quello che scrivono ma per quello che pensano, da cui deriva ciò che scrivono.

Credere in qualcosa è difficile. Bisogna trovare il tempo di alzare la testa dal quotidiano e guardare lontano, all'orizzonte e poi guardare in basso per avere una visione d'insieme. Bisogna pensare e cercare collegamenti. Bisogna porsi delle domande e darsi delle risposte. Non bisogna far questo per prevedere il futuro, ma per trovare una spiegazione al presente, per comprendere il passato. La previsione, forse, verrà fuori da sola.

Voi in cosa credete?

Io in cosa credo? Queste note settimanali dovrebbero aiutarmi a trovare la risposta e forse qualche indizio qua e là c'è. Tra i buoni propositi dell'anno inserisco questo: completare la frase "io credo che".