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Questa lettera sarà probabilmente breve, perché di nuovo sto scrivendo con lo smartphone e chiunque pensi che un affare del genere, per quanto generoso in pollici di schermo, possa sostituire un computer vero con una vera tastiera è un pazzo. In ogni caso, buonasera da Amsterdam.

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La foto qui sopra per me rappresenta la sintesi perfetta di questa città. A destra vedi il Museo della Navigazione, un'architettura originale. Qui originale è un sinonimo di “sta lì da tanto”. Quanto? Wikipedia mi dice che il progetto è del 1656. Al centro, fintissima e kitschissima, la pagoda di un ristorante cinese, simbolo del legame antico dell'Olanda con l'est. Siamo a due passi dalla Chinatown locale. Dietro la pagoda la struttura a forma di nave del NEMO, che non è un monumento al pesce perduto e ritrovato, ma il museo della scienza e centro scientifico, progetto di Renzo Piano del 1997.

Qui è tutto così: l'antico, il nuovo e il baraccone tutti mischiati. Piazza Dam è bellissima per il suo essere un luogo vivo, vivace, pieno di gente del posto e di molti altri posti diversi che entrano ed escono da monumenti e negozi o si fanno affascinare dagli eventi o dagli spettacoli degli attori di strada o cercano fumo o cercano di rimorchiare o tutto quanto assieme. Piazza Dam è anche il caso più evidente che io abbia mai visto di disneylandizzazione di un centro storico. A livello strada non c'è quasi niente di locale, se si escludono i monumenti e i grandi magazzini storici: dite una catena di abbigliamento o beni di lusso o cibo, preferibilmente fast food, e qui ne trovate un negozio. Dal primo piano in su, Amsterdam. Ovvero, l'architettura che immagini quando pensi a questa città. È ovvio che uso il termine disneylandizzazione in tono critico, come tutti quelli che lamentano la perdita di identità di un centro storico e la sua trasformazione in un centro di intrattenimento a misura di turista, identico ovunque nel mondo dato che i negozi sono sempre quelli.

Poco distante da Piazza Dam, verso la Stazione Centrale e il fiume Ij, c'è il quartiere medievale, che si distingue dal centro storico affacciato sui famosi canali più per il fatto che le costruzioni sono ammassate tra loro che per una vera differenza architettonica. E perché qui, rispetto a Piazza Dam, coffeeshop e sexy shop sono più frequenti. Praticamente nessuna catena internazionale, ma bar/locali/ristoranti di categoria trappola per turisti ogni pochi metri. Anche qui, bisogna alzare gli occhi sopra il livello delle vetrine per vedere l'Amsterdam tradizionale.

Ma questa Amsterdam tradizionale, è la “vera” Amsterdam? O forse la vera Amsterdam è questa, quella composta dalla Amsterdam a livello strada, con le sue attrazioni e la gente che sta lì per quelle, e dalla Amsterdam dal primo piano in su? DisneylAmsterdam?

Piazza Dam è Disneyland. Ma senza tutti i negozi che ci si affacciano intorno, calata la sera in inverno sarebbe Piazza Che Due Palle.

Il NEMO è a forma di nave perché questa è stata una nazione di navigatori. Ma con il ragionamento scienza - esplorazione - nave, avrebbe altrettanto senso in cima alle Alpi o in mezzo al Sahara. Nulla della sua architettura dice “Amsterdam” o anche solo “Olanda”, ma ormai è parte di Amsterdam.

C'è un modo per evitare che i centri storici perdano la loro identità per omogeneizzarsi in centri di intrattenimento tutti uguali a livello vetrina? C'è una sana via di mezzo tra rinnovamento e conservazione? Al di là delle belle parole e dei bei pensieri, guardami negli occhi: gliene frega veramente qualcosa a qualcuno dell'identità dei centri storici? Della bottega artigianale? Quando cavolo sei stato da un artigiano l'ultima volta? Un artigiano è un commerciante, esattamente come H&M: non è che continua a campare perché tu vuoi proprio tanto mantenere l'identità del centro storico e le sue botteghe artigiane, campa se ha clienti. E, anzi e/o, se il padrone delle mura non riceve un'offerta migliore e non gli alza a livelli insostenibili l'affitto.

Il bello del viaggiare è venire in contatto con cose, situazioni, persone diverse. Se il primo impatto, quello più visibile e facile da trovare, è una replica di quello che troviamo ovunque, anche a casa, è un tragico impoverimento. E allora Amsterdam si riduce a case strette, sexy shop, coffeeshop.

Ma possiamo impedire questa omogeneizzazione? C'è un modo? Ne abbiamo diritto?

Questa è la domanda fondamentale. E fa il paio con “è giusto produrre i cinepanettoni?”\ Che c'entra? C'entra! È quello che vuole “la gente”. Se no non ci sarebbero gli stessi prodotti ovunque: li vogliono i locali, li vogliono i turisti. Sono stato nei grandi magazzini De Bijenkorf. Magnifico palazzo fuori, una Rinascenti più lussuosa dentro. Sono andato al reparto cartoleria ed escludendo la pochissima roba economica da battaglia, la penna stilografica meno costosa era una Lamy Safari, e va bene, ma per quanto riguarda la cartoleria, era come essere da Feltrinelli. Non c'era niente che dicesse Olanda. Nei taccuini, nei vestiti, negli accessori. C'era quello che vuole la gente.

Ora, che diritto abbiamo noi, studiosi della cultura digitale, designer, innovatori, di dire alla “gente” che vuole le cose sbagliate? Che può volere di più e di meglio? Che “meno commerciale e più caratteristico” è più bello? Non era stato già fatto questo discorso, partendo dai tempi della domanda filosofica “vale più un'ora di Socrate che discute di filosofia o un'ora del contadino che gioca a carte?”, anche nella variante economica “trae più godimento Socrate da un'ora passata a filosofeggiare o il contadino da un'ora passata a giocare a carte?” Come, tra parentesi, se Socrate non avesse mai passato un secondo della sua vita a cazzeggiare o il contadino a chiedersi se la sua vita è tutta lì.

Ora, io penso che noi non abbiamo alcun diritto a ergerci a censori e giudici di cosa sia buono e cosa no per gli altri. Ma boia se possiamo avere la nostra idea! E un modo per diffonderla e farla condividere, per me, parte da questa considerazione: la gente abituata a vivere nel bello diventa migliore.

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