-- Questo testo è apparso in originale come secondo invio della newsletter Apofenia --

Buongiorno da Roma, una città in cui ieri era inverno e oggi primavera, nonostante il calendario dica che è estate. Se vuoi leggerla come una metafora fai pure, io dormo ancora con il pigiama.

++\ Apofenia: pensieri sconnessi con periodicità casuale di Andrea Nicosia\ ++

La cadenza settimanale che mi sono imposto mi fa arrivare in ritardo su alcune notizie, sii misericordioso e non rispondere a questa email con OLD!!1!!111! (e ricorda che questa è un'email: puoi rispondermi o inoltrarla).

Avrai già visto questo video, Yaskawa Bushido Project, in cui un robot industriale della Yaskawa esegue movimenti di estrema precisione con una katana.

Per realizzare il video sono state analizzate le azioni di Isao Machii, un maestro di Iaido. Machii ha indossato una tuta per motion capture, i suoi movimenti sono stati ripresi, digitalizzati, distillati, trasformati in istruzioni e trasferiti alla macchina.

Mi vengono tre riflessioni.

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Il commento medio che accompagna questo video è “Oh, sì, insegniamo ai robot a usare armi, COSA MAI POTRA’ ANDARE STORTO?!?”. Terminator e Matrix sono ben presenti nella nostra memoria.\ Però, riflettiamo un attimo. Se mai una intelligenza artificiale volesse muoverci guerra, difficilmente userebbe robot armati per combattere: ci sono sistemi più semplici ed efficienti. Causare disastri aerei, provocare scontri fra treni, alterare i risultati di analisi mediche. Oppure, metterci in guerra l’un l’altro, spingendo magari uno Stato in bancarotta usando degli algoritmi per l’high frequency trading che non causino eventi come il flash crash del 2010 per errore, ma volutamente. E magari seminando indizi che portino a dare la colpa ad hacker di un’altra nazione. Insomma, se le intelligenze artificiali volessero muoverci guerra, secondo me non dovremmo aspettarci i terminator per le strade e i droni nel cielo, ma azioni di guerra asimmetrica: terrorismo e sabotaggio.

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La seconda riflessione è quanto diventa sempre più facile far compiere alle macchine, robot e programmi, azioni prettamente umane. Che si può dire in altre parole usando il titolo di uno studio di Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne del 2013: “Il Futuro dell’Impiego: quanto sono soggetti i lavori alla computerizzazione?” Che detto in altri termini ancora è: quanto è probabile che nel prossimo futuro il tuo lavoro verrà svolto da una macchina e ti troverai disoccupato? Se non hai voglia di leggere tutto lo studio, la NPR ha preparato uno strumento che permette di selezionare area di lavoro e ruolo e avere una previsione. Non è fatto benissimo, ma aiuta ad avere un’idea.

Una delle caratteristiche di quella che all’inizio degli anni 2000 era la new economy e oggi è semplicemente l’economy è la disintermediazione. Ovvero la sostituzione con l'automazione di figure che mediavano fra due attori, oppure la sostituzione di processi. E questa era innovazione. Alcune delle figure professionali o dei responsabili dei processi vedevano bene l’automazione, perché alleggeriva il loro carico di lavoro, permettendogli di concentrarsi su azioni ad alto valore aggiunto. Il problema è che l’innovazione forte, l’innovazione distruttiva non ha a che fare con l’automazione del lavoro, ma con la trasformazione radicale del mercato. Detto in altro modo: vuoi innovare un mercato? Non chiederti come renderlo più automatico, ma come rendere disoccupati quelli che ci lavorano. Dopo che ti sei posto questa domanda e che hai concluso che per te possono morire di fame i vigili urbani o i tassisti (ma a loro sta già pensando Uber), fattene un’altra: è etico? Il mercato è più veloce della politica, ma dato l’inevitabile peso sociale di certe innovazioni, non sarebbe opportuno pensare a come innovare (distruggere) un mercato solo dopo aver trovato un modo (o aiutato a trovare un modo) per non creare disoccupazione?\ E tra parentesi no, la sharing economy non è, per me, una soluzione: è un modo per far raccattare spiccioli ai lavoratori mentre un’impresa che opera con il modello classico di azienda novecentesca si arricchisce. Vedi appunto Uber per esempio. Il che non è una bocciatura della sharing economy, ma un invito a una riflessione più approfondita.

Mamma che botta di pessimismo. In realtà vedo anche lati positivi. Ho toccato argomenti simili allo scorso Appy Days, se vuoi puoi leggere la sintesi del mio intervento.

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La terza riflessione è di natura semantica. Ma perché la Yaskawa ha chiamato questa cosa Bushido Project? Praticare scherma storica occidentale mi ha insegnato delle cose. I fondamenti della scherma sono tempo, misura e velocità, sia che tu abbia in mano una spada da lato europea o una katana. Una macchina può imparare tempo, misura e velocità? Eccome se può!\ Poi ci sono le tecniche, che non sono altro che algoritmi: per ottenere questo risultato, fai questa azione, poi questa e poi questa. Se il tuo avversario fa questo, tu compi questo movimento. Le macchine sono fortissime ad applicare algoritmi.\ Dicevano i trattatisti medievali e rinascimentali che studio io, e quelli di epoche seguenti fino alla nostra, che la scherma è una scienza: tutto può essere spiegato e riprodotto. Quindi un robot può imparare a usare efficacemente una spada.

Ma può essere un guerriero nel senso, letterale o frutto della letteratura, di cavaliere o samurai? Esserlo come i maestri antichi, ma pure come Isao Machii, che hanno dedicato tutta la vita allo studio della spada, a diventare tutt’uno con essa?

I trattatisti aggiungevano che la scherma è un’arte: una volta imparata la scienza, ognuno la interpreta e distilla ed esprime in modo personale, secondo il suo corpo, il suo spirito, il suo carattere, i suoi sentimenti ed emozioni. Può una macchina esprimere un’arte? Il Bushido è la via del guerriero, la dedizione di anima e cuore e corpo. Ogni attività giapponese che finisce in –do indica qualcosa in cui ci si impegna con profonda dedizione spirituale. Le macchine non hanno anima e cuore, non possono seguire il Bushido. Possono seguire alla perfezione la manifestazione esterna dell’arte di Machii, i movimenti della spada nello spazio. Ma non ciò che c’è dietro e dentro, quello che rende Machii, o chiunque sia dedito con passione a questo tipo di attività, un artista marziale.

Quindi Bushido Project è un nome di cui non riesco a trovare il senso e mi stupisco che lo abbia scelto una ditta giapponese.

Se si riduce un’arte alla replicabilità delle azioni che ne costituiscono la manifestazione esterna e cioè all’analisi, riproduzione, trasmissione e riproposizione all’infinito delle informazioni che permettono di eseguire quelle azioni, la si svuota di ciò che la rende arte e si svuotano gli umani di ciò che li rende umani.

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Per questa settimana è tutto. Prometto più allegria per la prossima!

Intanto, tratta bene il tuo corpo e il tuo spirito e coltiva le tue passioni.

AN\ Roma\ 2015

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