— Questo testo è apparso in originale come quarto invio della newsletter Apofenia

Buongiorno da Roma, città colpita da allarmismi su emergenze climatiche e botte di caldo da fine del mondo. Caldo fa caldo, ma un po’ è luglio, un po’ ho quattro gatti addosso.

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Sapevate che c’è gente che coltiva verdura sott’acqua nel mare di fronte a Noli? E' il progetto Nemo's Garden e mi pare molto interessante.

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Matt Webb ha continuato a scrivere e riflettere sulle interfacce utente conversazionali e io pure.

Secondo Matt, la conversazione moderna con un'applicazione va intesa non solo come approccio, quindi uno scambio di richieste e informazioni destrutturato, ma anche come metodo: quindi espresso tramite scrittura. Ha senso perché al di là del sistema, dell'applicazione, dello strumento, la comunicazione testuale è un'esperienza consistente dall'SMS alla chat di Facebook a Whatsapp, Twitter (in un certo senso), Telegram, IRC (ho bisogno di un canale IRC serio. Ma avrei bisogno anche di voi su quel canale, uffa!) eccetera. Nell'articolo Webb cita una serie di casi ed esempi che corroborano la sua idea.

Io però non sono convintissimo.

Probabilmente faccio l'errore di pensare non in termini generali, ma di casi d'uso che vengono dalla mia esperienza personale. Però:

  • capisco e sono d'accordo sulla maggiore intimità della chat testuale.\
  • sono molto d'accordo sull'asimmetria della comunicazione, che implica anche una maggior calma, una minor frenesia, forse una minor angoscia da notifica che arriva a fuoco rapido sullo smartphone e pretende la tua attenzione.\
  • è tutto bellissimo.

Soprattutto l'asimmetria, i tempi morti, il prendersi il proprio tempo mi piace molto. E' il motivo per cui continuo a comprare penne stilografiche: mi piacciono per tanti motivi, uno dei quali è che mi spingono a scrivere lentamente.

Però io sono sempre di corsa. Non posso scrivere o leggere messaggi mentre guido, mentre cammino, mentre sono arrampicato su un albero. Anche se mi venisse fornita per certe interazioni una tastiera con scorciatoie per le risposte, evitandomi di digitarle per esteso, la scrittura non è sempre lo strumento più comodo. E poi faccio un mucchio di refusi quando scrivo!

E quindi l'interfaccia del futuro sarà la voce, come scrivevo la settimana scorsa? Ma parlare con un telefono ci fa sembrare super stupidi! Capisco il grido di dolore di chi chiede ad Apple "per favore, fammi scrivere un sms a Siri!" Per tacere (aha, visto cosa ho fatto?!? ;) ) della necessità di stabilire un vocabolario e un sistema di frasi che la nostra amichevole quasi AI possa interpretare per capire che cosa vogliamo da lei (in realtà siamo molto avanti su questo) e avere una profonda integrazione con tutto il sistema operativo e le applicazioni presenti.

E quindi? E quindi forse la soluzione è in questo passaggio, che io cito dall'articolo di Webb e che lui a sua volta cita da qui:

"I haven't yet found the right words to characterize what this bot relationship feels like. It's non-threatening, but doesn't quite feel like a child or a pet. Yet it's clearly not a peer either. A charming alien, perhaps? The notable aspect is that it doesn't seem anthropomorphic or zoomorphic. It is very much a different kind of otherness, but one that has subjectivity and with which we can establish a relationship."

"The conversation about how to define the bot's relationship to us really elucidated the idea that we are moving toward one member called "non-human mental models". We are beginning to understand machine subjectivity in a way that is in keeping with its nature rather than forcing it into other constructs, like a person or an animal."

E insomma, io credo che nel momento in cui il sistema, il bot, la macchina, l'AI, quel che è, diventa una presenza con cui relazionarsi, occupa nella nostra mente lo stesso spazio mentale che occupano le altre presenze che abbiamo intorno e con cui interagiamo. E ci possiamo, vogliamo, dobbiamo comunicare con lo stesso criterio: il sistema più opportuno o più comodo per noi (non necessariamente il più efficiente) in quel momento. Che può essere la voce, può essere testo o può essere una gestualità assimilata come quella di Tinder.

Poi, hey, io ho come sfondo del desktop il business plan di Berg, mentre dubito che Matt Webb abbia come sfondo il mio. Quindi è probabile che lui ne sappia più di me. Ma non è detto. Più gente pensa su questo argomento, più punti di vista ci sono, meglio è.

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E ora, un po' di fatti miei. Sono certo che non vedevi l'ora.

Recentemente ho partecipato su Facebook a una conversazione interessante sul cyberpunk. Il tema era cosa contribuisce a creare una buona o cattiva ambientazione in un gioco di ruolo, ma siamo passati presto a parlare del cyberpunk in generale.

La cosa che mi stupisce sempre è che il cyberpunk era il futuro degli anni '80 e ancora oggi le persone ne attendono l'avvento. Certo, la tecnologia che abbiamo oggi non è quella degli impianti e della immersione totale nella rete. Abbiamo una tecnologia diversa, per certi versi inferiore e per certi versi superiore a quella teorizzata nei libri di Gibson, amici ed epigoni.

Ma il cyberpunk non è caratterizzato solo da una certa tecnologia. E', per me, uno scenario culturale, politico, economico e sociale. Adesso, oggi, siamo nel futuro degli anni '80 e secondo me adesso, oggi, viviamo in un mondo totalmente cyberpunk. E non solo: quei temi si mescolano con altri, transumanesimo e biohacking per dirne due, che pure loro formano non tanto e non solo un costrutto teorico in cui ambientare storie future, quanto la nostra quotidianità.

Da Wikileakes a Edward Snowden, da quello che l'Europa sta facendo alla Grecia a quello che Uber sta facendo agli stati fino a quello che gli stati stanno facendo ai cittadini (non so se avete letto, ma le ultime dichiarazioni del Primo Ministro inglese David Cameron sembrano uscite dal playbook del Norsefire Party di V per Vendetta). Viviamo nel bene e nel male in un mondo cyberpunk.

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AN\ Roma\ 2015